Nastri di cemento metropolitani percorsi da pistoni stridenti e lubrificati con in sella persone, la cui mente annega in ben altro tipo di lubrificante. Quel liquido viscido ed oleoso, morbido ed invisibile, quella noncuranza verso tutto e tutti che permette alle giornate cittadine di scorrere via lisce senza troppi intoppi.
Sotto al cemento i tunnel scavati dal Novecento e attraversati dai binari della metro, inconsapevole scrigno di sogni, passioni, angosce e desideri delle migliaia di persone che ogni giorno si lasciano cullare dal suo loculo metallico rapido come una tachicardia.
In questo ambiente nasce la street art, la parola di chi non si fa gettare a terra dal sistema della grande Babilonia moderna e cerca di offrire allo spettatore distratto, affogato nel lubrificante delle proprie preoccupazioni, un barlume di idea, di esperienza e novità. La street art e l'arte del quotidiano, il fiore che nasce nella pattumiera, il principio di scostamento dalla
realtà che anche per un attimo riesce a sollevare la nostra attenzione e immergerci nella dimensione onirica del senza tempo.
realtà che anche per un attimo riesce a sollevare la nostra attenzione e immergerci nella dimensione onirica del senza tempo.
Questo è quello che è capitato di vedere a Next il mese scorso mentre camminavamo fra la 9° e la 10° strada in direzione Brooklyn, un piccola visione che ci ha strappato all'immensità della Grande Mela. Una creatura mostruosa si è eretta in tutti i suoi tre metri di altezza davanti ai nostri occhi, ringhiando ed agitandosi compulsivamente con i piedi saldamente aggrappati a uno dei tanti grigi sidewalk newyorkesi.
Joshua Allen Harris definisce quello che è il prototipo dell'artista visivo moderno. Uno che con dei sacchetti della spazzatura, con uno oggetto strappato alla quotidianità riesce a far viaggiare la fantasia. La creatura non era altro che uno dei suoi Balloon Animals composto da buste di plastica che, saldamente legate ad una grata, al passaggio sotterraneo della metro si è gonfiato riempito dai vapori e dallo spostamento d'aria del treno che percorre le vene dell'underground cittadino. Lo spettacolo è durato pochi battiti d'ali di farfalla. L'orco di polietilene si è afflosciato lentamente dibattendosi con gli ultimi gemiti, prima di soccombere.
Per capire quello di qui parliamo provate a guardare qui. Le sculture gonfiabili di Harris hanno successo perché sono opere semplici ed efficaci: si innestano nel contesto urbano utilizzandone due degli elementi emblematici, i sacchetti di plastica ed i vapori della metropolitana. Sono prodotti di scarto che, apparentemente giunti alla fine del loro ciclo, si uniscono in una simbiosi vitale in grado di stupire; e la capacità di stupire, oggi, è veramente una dote rara.
In tutte le sue creazioni c’è sempre un elemento antropologico, l’essere vivente, mostro o animale che sia, prende vita con il soffio vitale dell'aria. Un tema questo da sempre presente nei miti della creazione delle culture antiche e preistoriche. Nulla è quindi più efficace di uno stimolo ancestrale ed irrazionale per colpire l’homo sapiens della giungla urbana, ricordandogli all'improvviso, come un illuminazione estatica, il mistero della sua creazione.
Claudio Capanni
(claudiocapanni@aol.com)
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