giovedì 23 dicembre 2010

QUANDO L'ARTE DIVENTA CRIMINALE: INTERVISTA A CREW FUZZ


Quella dei writers metropolitani è una lotta contro il bianco che abbaglia. Strati di vernice spray si posano silenziosi e notturni, sopra al manto cementizio degli involucri metropolitani, sparati contro i ruvidi e freddi mattoni di un muro di periferia. Il mattino seguente quel muro non sarà più lo stesso. Una forma d'arte che non viene fatta su commissione, che non accetta compromessi, parassitaria, che nasce, vive e si nutre di quel panorama artificiale che l'uomo ha costruito, parlandogli con un linguaggio a noi sconosciuto.

Un gesto che proprio dal suo compiersi trae parte del suo significato, un gesto che deve essere al di fuori della legge, dipingere con volto nuovo la proprietà privata, quella pubblica, non importa, basta che si tratti di una tela di mattoni o calcestruzzo su cui
far esplodere la propria arte. L'illegalità è colonna portante di questa forma d'espressione artistica. Qui nasce una delle domande che i neofiti, gli appassionati e chiunque si trovi davanti agli occhi un graffito, si pone: arte o vandalismo?

La domanda per quanto retorica non è scontata o banale, ma è semplicemente una goccia nell'oceano dell'eterna discussione sul bello artistico, sull'estetica e le sue forme. NEXT ha tentato di rispondere al quesito, un compito non facile, ma svolto in maniera originale. Abbiamo chiesto a chi su questa forma espressiva ci ha costruito la propria vita. Il suo tag nell'ambiente fiorentino della prima metà degli anni '90 era Crew Fuzz. Oggi ha smesso. E ci spiega il perchè.

Mercoledì 22 Dicembre 2010. Siamo entrambi seduti in un noto caffè del centro nei pressi di Piazza della Repubblica a Firenze. Non uno di quei posti in cui ti immagini che un giorno ti saresti seduto con un writer di quelli veri. È stato difficile ottenere questo incontro, ma adesso ci siamo, tavolo esterno, sigaretta accesa in attesa del cameriere, iniziamo a parlare.


Allora tu eri un writer, perchè hai smesso?

Bè nel 1990 avevo 20 anni, adesso me ne ritrovo addosso quasi 40. Ho dovuto lavorare, mi sono innamorato, oggi ho un figlio, non sono una rockstar, la mia vecchia realtà di writer era proprio come quella di tutti i giovani come te. Ho smesso a 24 anni quando il fenomeno graffiti stava maturando, quando Bansky non era un'icona e ancora i writer in Italia utilizzavano unicamente la tecnica del bombing.

Cioè?

Quelle scritte tondeggianti che vedi un pò ovunque adesso. Non qui in pieno centro chiaramente, ma in periferia, sui treni. La maggior parte sono residui della mia epoca, molte sono nuove ed a mio parere orribili.

Ti piaceva essere un writer?
 

Eravamo un tribù compatta, eravamo originali e la notte eravamo estremamente soli. Era bello, provavi un brivido unico. Ora non avrebbe molto senso. 

Cosa pensi dei tuoi ex coetanei al giorno d'oggi, visti dal di fuori, sono artisti o vandali?

Sono 15 anni e forse più che si parla di graffiti in Italia, e continuo a leggere ancora oggi tanta confusione. Assisto a generalizzazioni sommarie su questo fenomeno. Si indica come graffito qualsiasi cosa venga disegnata o scritta sui muri della città, senza distinzione, dall’arte urbana al semplice vandalismo. Ci sono persone che fanno i graffiti con lo scopo di fare cose belle e altre che li usano come accadeva a New York trent’anni fa, quando si scriveva il proprio nome con l’idea di riappropriarsi così della città.

Ci vorrebbero delle punizioni o cosa?

La risposta è complicata. D'istinto verrebbe da dire che ci vorrebbero ma dovresti metterti a discriminare e a giudicare ogni graffito con il metro del bello artistico e chi è un assessore comunale che possa utilizzare tale metro? Anche se ci fossero persone dotate di strumenti critici adeguati la discussione ricomincerebbe per il semplice fatto che non tutti la pensiamo alla stessa maniera.

Ritorno al punto di prima: i writer li consideri artisti?

Nel 99% dei casi non lo sono. Si nascondono dietro a questo, ma in realtà parlano solo per sé e per la loro tribù, non gli importa del messaggio che portano. Le scritte sono segnalatori sociali. Il centro della città è pulito perché lì c’è attenzione da parte della comunità e delle istituzioni. D’altra parte, ci deturpano continuamente il panorama con orrendi cartelloni pubblicitari, e allora i ragazzi pensano: perché dunque non farmi la mia scritta? Insomma, la situazione non è chiara e la stanno continuando a ingarbugliare. Ma stiamo attenti: un italiano su due ha il problema di confrontarsi con una scritta, che sia d’amore, di calcio o altro. E la metà dei politici che ho conosciuto aveva un figlio che faceva graffiti.

Quando è nata la tua passione?

Ho sempre disegnato ed avevo molti amici che lo facevano. Non c'era un bel clima all'inizio degli anni '90, la città in molte sue zone era degradata, dilagava l'eroina, alcuni amici sono morti. I muri erano quasi tutti liberi e in America già da dieci anni i writer si erano affermati. Siamo stati un ponte di collegamento fra l'America e Firenze, cercando di trarne il meglio, non c'erano come oggi riviste specializzate o siti appositi. Era tutta immaginazione e sopratutto una grossa mano dava la televisione con i telefilm d'importazione.

C'è ancora da qualche parte uno dei tuoi lavori?

Forse. Il writing è momentaneo ed effimero. È esposto alle ingiurie del tempo ed a quelle dell'uomo. Sotto il ponte di Varlungo vecchi amici mi hanno detto che si è conservato un mio graffito quasi preistorico. Ma non ci sono più tornato. E non ti dirò cos'era se è questo che stai per chiedermi.

Fin dove ti sei spinto a disegnare?


L'Olanda. Amsterdam è stato il traguardo più lontano, eravamo in 8 e facemmo un murales all'interno di un piccolo scalo abbandonato della stazione di Amsterdam. Fu una serata magica e il risultato era notevole ma ti ripeto al di là del momento aggregativo e dell'avventura vissuta non credo di poterla chiamare arte.

Ci vuoi dire il tuo vero nome?

No, per oggi dopo tanto tempo sarò ancora una volta Crew Fuzz. Chi mi conosce quando leggerà, capirà.


Claudio Capanni 
(claudiocapanni@aol.com)

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